Fin da piccole ci raccontano la favola della “metà della mela”. Una storia apparentemente innocente, romantica, che però ha lasciato segni profondi – e spesso dolorosi – in molte di noi.
Ci crescono con l’idea che ci manchi qualcosa. Che siamo “incomplete” finché non troviamo quella persona giusta, quell’unico amore destinato che dovrebbe combaciare perfettamente con noi. E, ovviamente, che senza di lui – perché nella maggior parte dei racconti si tratta di un uomo – non potremo mai sentirci veramente felici.
Ma diciamocelo con chiarezza: questa storia è una trappola romantica. E, a lungo andare, fa più danni che altro.
L’origine del mito dell’anima gemella
L’idea non è nuova: risale addirittura a Platone, nel Simposio, dove racconta il mito degli Androgini. Secondo il filosofo, all’inizio dei tempi eravamo esseri completi, con quattro braccia e quattro gambe, finché Zeus – per paura della nostra potenza – ci divise a metà. Da allora, viviamo alla ricerca della nostra parte mancante.
Un’immagine potente, certo. Ma estremamente limitante. Perché ci fa credere che la felicità sia “fuori da noi”. Che basti trovare l’altro giusto per sentirci finalmente intere.
Questa narrazione, ripresa e rinforzata da film Disney, commedie romantiche anni ’90-2000, romanzi rosa e perfino dal marketing dei matrimoni, ha radicato l’idea che esista una sola persona “perfetta” per noi, una sorta di destino sentimentale a cui non possiamo sottrarci.
Perché ci crediamo ancora?
Il mito dell’anima gemella è duro a morire perché parla a un nostro bisogno profondo di certezza. In un mondo incerto, in cui tutto cambia, sapere che là fuori c’è qualcuno “fatto apposta per noi” ci tranquillizza. È il famoso “bias della one-certainty”: preferiamo credere che esista una soluzione perfetta, anziché ammettere che le relazioni richiedono lavoro, presenza, capacità.
A questo si aggiunge la cultura dell’“happy ever after” – dove l’amore risolve tutto – e gli algoritmi delle dating app che ci vendono il sogno della “match-perfect”, come se bastasse una percentuale per sapere chi ci renderà felici.
Ma la realtà è molto più complessa. E ignorarla ci espone a danni emotivi concreti.
I 4 danni concreti del mito dell’anima gemella
- Perdita della propria identità
Quando cerchi disperatamente la “metà mancante”, rischi di dimenticarti chi sei davvero. Molte delle donne che seguo mi dicono: “Non mi riconosco più”. Hanno smesso di coltivare passioni, amicizie, sogni. Si sono perse, annullate, nel tentativo di tenere in piedi una relazione che – spesso – non le rispettava neppure. - Relazioni tossiche normalizzate
L’idea che “lui sia quello giusto” ti fa accettare comportamenti che non dovresti mai tollerare. Ti dici: “È solo un momento difficile, poi cambierà”, o peggio, “forse sono io che sbaglio”. E così, tra love bombing, silenzi punitivi, manipolazioni emotive, finisci dentro relazioni malsane che ti consumano.
Secondo dati dell’APA (American Psychological Association), una percentuale significativa delle persone in relazioni tossiche mostra sintomi di stress post-traumatico, ansia e depressione. - Dipendenza affettiva
Quando credi che la tua felicità dipenda esclusivamente da un’altra persona, entri in uno stato di dipendenza emotiva. Ogni cosa gira intorno all’altro. Ti senti drogata, come spesso dicono le donne con cui lavoro. E non riesci più a stare bene da sola. - Sacrificio estremo
Il mito della mela ti insegna che devi tenerti stretto l’altro, anche a discapito di te stessa. Che l’amore “vero” sopporta tutto. Anche quando quel tutto ti spezza.
E così sacrifichi i tuoi valori, il tuo benessere, le tue intuizioni. Perché credi – o speri – che prima o poi la magia tornerà.
Dalla ricerca alla costruzione
Questa narrazione ci ha fatto dimenticare una cosa fondamentale: non sei una metà. Sei intera.
L’amore sano non arriva per colmare un vuoto, ma per arricchire ciò che già esiste.
Erich Fromm, ne L’arte di amare, scriveva che l’amore vero richiede conoscenza e impegno. La conoscenza nasce dalla consapevolezza di sé: sapere cosa ci muove, cosa ci blocca, quali dinamiche ripetiamo. L’impegno, invece, è quella spinta interna che ci porta a costruire, scegliere, agire con intenzione – non a restare ferme sperando che qualcosa cambi.
Nelle Terapie Brevi e nei modelli come ACT e DBT, si lavora molto su questi aspetti: valori personali, autonomia emotiva, competenze relazionali. Perché una relazione sana si costruisce tra due persone autonome, non tra due metà che si incastrano.
Strumenti concreti per iniziare
Se vuoi iniziare a liberarti da questa narrazione e costruire un nuovo modo di amare, ti consiglio tre esercizi semplici:
- Fai una lista dei tuoi valori non negoziabili: cosa conta davvero per te in una relazione? Quali comportamenti non sei più disposta a tollerare?
- Tieni un diario di gratitudine verso te stessa: ogni giorno, annota tre cose che hai fatto bene. Inizia a vederti.
- Fatti queste 3 domande in ogni nuova relazione:
- C’è reciprocità reale o sto dando molto più di quanto ricevo?
- Posso essere me stessa, senza filtri?
- Questa relazione rispetta i miei valori profondi?
In conclusione…
La verità è questa: non esiste una sola anima gemella. Esistono persone compatibili, con cui puoi costruire qualcosa di bello. Ma dipenderà da voi. Dalla comunicazione, dalla cura, dalla libertà di essere voi stesse.
E se ti senti incompleta da sola, non è perché ti manca qualcuno. È perché forse hai dimenticato di guardarti con occhi nuovi. Allora, prima di cercare l’anima gemella, inizia a ritrovare te stessa.
Ti interessa approfondire?
Ne parlo anche nel mio Podcast “Indipendenza Emotiva” su Spotify “La storia dell’altra metà della mela è una cazzata”.