Joker: fra pregiudizi, esclusione e patologia

da | Nov 5, 2019 | Psicologia

Joker è uno psicopatico con manie di grandezza? Di che patologia soffre? È uno schizofrenico paranoide? Joker è cattivo o malato?

Forse sì, almeno un po’ di tutto questo.

Ma il personaggio interpretato da Joaquin Phoenix è prima di tutto un uomo.

Un uomo qualunque, segnato da un passato pesante, che scopre solo da adulto di essere stato abusato dai vari compagni della madre adottiva, da cui non si è mai separato e che cura con delicatezza e adorazione ha rimosso completamente gli atroci fatti della sua infanzia.

L’unico elemento che lo accompagna da tutta la sua vita, nonché l’unica cosa di cui ha memoria, è il ridere dissociato e compulsivo che a volte si impossessa di lui in alcune circostanze, soprattutto se dolorose.

Ma Joker è buono o cattivo?

Il personaggio incarna, all’inizio, un uomo mite, sfortunato, che vive ai margini di una società violenta che lo esclude e dove tutti lo maltrattano tranne chi, come il collega nano, lo capisce e gli sta accanto; picchiato brutalmente da ragazzini di strada, Arthur non si ribella.

Joker cerca di combattere contro il suo malessere, non vuole stare male e vorrebbe davvero fare qualcosa di positivo dimostrando così di non essere completamente perduto, di poter ancora recuperare: ma nessuno è intenzionato ad aiutarlo, la società e tutte le persone vicine lo abbandonano alle sue sofferenze, non vogliono vederle né accettarle.

Un giorno un “collega” gli regala una pistola: l’arma lo rende improvvisamente libero e potente. Non è più il clown maltrattato e deriso, ma ora può difendersi e farsi valere.

È proprio la pistola, però, che gli farà perdere il lavoro. Costretto da quella beffarda risata, Arthur non può fare altri lavori: inizia ad incrinarsi qualcosa.

Ancora una volta picchiato da 3 giovani ricchi in metropolitana, Arthur non ci sta a prenderle e reagisce uccidendoli. La notizia del clown killer finisce su tutti i giornali ed in tv.

In città, intanto, impazza la violenza.

Ed Arthur diventa definitivamente Joker: l’eroe dei perdenti, dei vinti, degli ultimi.

È colpa della società?

Non c’è solo la vicenda ed il dramma di un individuo in questo film. C’è anche il suo rapporto con la società, che ne se frega di chi come lui vive ai margini, in condizioni di povertà sociale, economica e culturale estreme.

Una società in cui vengono improvvisamente tagliati i fondi per l’assistenza socio-sanitaria, che consentivano a Joker di avere uno spazio di contatto umano, autentico e d’aiuto, oltre che prendere i farmaci per lui necessari.

La stessa società che vede dei ragazzini picchiare un uomo che sta tendando di sbarcare il lunario e dei giovani adulti che per il gusto di fare del male a qualcuno lo massacrano senza indugio.

Anche il suo collega fa parte di questa società quando regala una pistola a Joker con il consiglio di difendersi, ma con l’obiettivo, invece, di farlo licenziare, approfittandosi della sua incompetenza sociale.

Infine, anche il suo idolo, il conduttore televisivo, si prende gioco di lui e lo deride pubblicamente di fronte a milioni di telespettatori.

Cosa comporta tutto ciò?

Di fronte a questo accanimento della società che da sempre lo emargina e lo umilia, senza il sostegno sanitario e farmacologico, spoglio ormai anche dell’ultima certezza ossia che quella con cui viveva fosse la sua vera madre, Joker vede come l’unica alternativa, l’unica soluzione quella di passare dalla parte del carnefice, trasformando il suo senso di ingiustizia e di impotenza in un nuovo potere.

Questa trasformazione è un graduale processo che Joker fa suo e che se dapprima era subìto, poi diventa sempre più voluto: attraverso questo processo Arthur, ormai Joker a tutti gli effetti, si sente vivo e riconosciuto, incarnando improvvisamente il grido di tanti altri emarginati come lui che hanno taciuto fino a quel momento.

È un grido che irrompe in una società sempre più attenta a valorizzare l’apparenza, il successo economico, la forza e che non vede e non considera i più deboli e le minoranze.

È una società solo “apparentemente” sana, perché alimenta disuguaglianze e violenza, che trascura l’interiorità dei suoi cittadini e genera dei “mostri”: individui che vivono al margine che non hanno niente da perdere.

Niente di poi così lontano rispetto a cioè che succede ai vari estremisti, gruppi violenti dietro uno schermo del cellulare e “lupi solitari” che fanno da protagonisti nei nostri TG.

Cosa possiamo imparare da Joker?

Quante volte ci disegniamo un sorriso sul volto, come Joker, nei nostri profili social, ma dietro quel sorriso e quei filtri ci sono tante difficoltà, tante imperfezioni, tanta tristezza, tanta rabbia.

La sofferenza (non necessariamente la malattia) è ancora vista con diffidenza e le persone vorrebbero che ci comportassimo come se tutto ciò non esistesse.

Forse possiamo ammettere che Joker ha ragione: la vita è imprevedibile.

 “Ho dimostrato la mia teoria. Ho provato che non c’è nessuna differenza tra me e gli altri! Basta una brutta giornata per ridurre alla follia l’uomo più assennato del pianeta. Ecco tutta la distanza che c’è tra me e il mondo. Una brutta giornata”.

(The Killing Joke, 1988)

Ma non per forza dobbiamo renderla un caos!

Possiamo accettare che dentro di noi convivano diverse parti, alcune più severe, più crude e più spaventose, altre più dolci, più accettabili e più buone, senza schierarci da una parte o dall’altra.

Spero che questo articolo ti offra nuovi spunti di riflessione.

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